vacca intevistato da freequency

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    Vacca, il rapper Pelleossa e senza censure

    Cagliari nel cuore, Milano nelle ossa, Kingston nell’anima. Il giovane rapper Vacca pubblica Pelleossa, un album e una biografia per condividere la vita senza censure di un MC che ha coronato i propri sogni, compreso quello di vivere in Giamaica.

    In Italia gli unici megafoni di protesta sono i rapper?
    Questo è il pensiero che emerge dalle pagine scritte da F. T. Sandman — Federico Traversa, autore della biografia — e che io condivido pienamente. Negli altri generi musicali c'è poco o niente: si parla di amore, ragazzi e ragazze che se ne sono andati. Questi sono gli argomenti che ci regalano il pop, il rock, e qualunque altro genere che non siano il rap o il reggae italiani. I rapper sono gli unici che parlano di attualità. Nella mia carriera ho sempre trattato argomenti piuttosto leggeri, cercando di far divertire i miei ascoltatori, dato che ci pensano già i media a farci deprimere. Adesso mi sento cresciuto e nell’ultimo album ho compensato gli equilibri: 50% di allegria e 50% di messaggi che spero vengano capiti.

    La tua evoluzione da cosa è stata determinata?
    Sono diventato papà un anno e mezzo fa. Inoltre vivo a Kingston in Giamaica da un paio di anni, il che mi dà l’opportunità di vedere quali sono i veri problemi e di viverli. In Italia si parla di crisi? Una crisi per cui i ragazzini non possono comprarsi due cellulari al mese o devono cominciare a rinunciare a qualche sabato in discoteca? Io qui convivo con persone che dormono nelle macchine, nei ghetti e non hanno nemmeno soldi per mangiare: questi sono i problemi.

    È la crisi del benessere.
    Sì, la crisi del benessere, quella che ti impedisce di farti la settimana bianca con i tuoi amici. Al contempo anche in Italia ci sono persone che non ce la fanno ad arrivare a fine mese, in quel caso ha senso parlare di crisi. Ma del resto chi ci gestisce nel nostro Paese? Persone che abbiamo eletto noi pur sapendo bene chi sono e cosa fanno. Adesso vanno anche a toccare i sederi delle ragazze! La gente in Italia si lamenta di quello che ha creato. Se ho deciso di crescere mia figlia in Giamaica e non in Italia, c’è un motivo. Non ho mai parlato male del mio Paese, ma non posso fare a meno di denunciare il fatto che non regala più un futuro ai proprio giovani.

    La tua opinione sulla scena rap italiana.
    Il livello si è alzato tantissimo. Si vedono numerosi video su MTV della scena hip hop, gli spazi per i rapper sono sempre più ampi. Un fenomeno in crescita e nell’ultimissimo periodo sono emersi nuovi artisti molto validi. I nomi più grossi li conosciamo tutti, ma occhio alle nuove leve, perché grazie alle potenzialità di internet riusciranno sicuramente a mettersi in luce.

    Rap-malavita, rap-miseria: sono i soliti cliché o c’è un fondo di verità?
    Ognuno ha le proprie situazioni famigliari e non sceglie dove e come nascere. Ma non si diventa rapper perché hai fatto la fame da piccolo. In America l’hip hop è nato come movimento di protesta che nasceva dal ghetto, senza essere sinonimo di criminalità. In Italia non è esattamente così anche perché il contesto è differente. Vero però è che questo genere nasce in strada, anche se questo non implica che debba essere legato alla malavita e alla povertà. Sono stereotipi superati, eppure molti media continuano a sfruttarli. Io ho vissuto a Quarto Oggiaro, ma ci sono arrivato quando ero già grandicello. Ho iniziato a fare rap quando vivevo nel centro di Milano.

    Il binomio rap-reggae è la chiave del progetto Pelleossa. Analogie e differenze tra questi due stili.
    Io parlo di musica, non di culture. Questa è una scelta stilistica di puro gusto musicale. Non voglio fare il puritano come fanno alcuni colleghi che ci tengono a difendere un genere piuttosto che un altro. Amo mescolare le mie preferenze musicali. Il mio primo album risale al 2003 e già lì c’erano delle sonorità di derivazione caraibica: ho sempre amato il reggae. Ora mi piace abbinare componenti ballabili del reggae al mio strumento di comunicazione che è il rap.

    Il libro e il cd Pellerossa sono complementari?
    Prima è venuto libro: una biografia non pretenziosa. Non parliamo di chissà quale carriera, dato che ho iniziato nel 1996 e ho fatto quattro dischi ufficiali: non ho voluto dare l’idea di essere una superstar. Il libro è un documento che sprona il lettore a non abbandonare mai i propri sogni. Racconta la vita di un ragazzo che riesce a fare della propria passione un lavoro, dopo aver preso tanti calci nel culo.

    Esiste una crew milanese di cui ti senti parte?
    No, io ho i miei amici con i quali faccio le mie robe da millenni. Esiste una scena hip hop milanese, ma non una crew, perché ogni giorno è una continua guerra tra colleghi, soprattutto in questo ambito. Siamo tutti amici, ma ci sono tanti scazzi. Però è una bella scena perché i nomi grossi vengono tutti da Milano: Club Dogo, Marracash, Two Fingerz, Bassi Maestro e così via.

    :: Le geografie di Vacca ::

    Le radici — Cagliari
    Cagliari è la città a cui sono ancora affezionato più di qualunque altro luogo. Qui ci sono nato io e la mia famiglia. Ho tutte le caratteristiche tipiche di un cagliaritano e sono strafiero di esserlo, visceralmente orgoglioso di essere sardo. Quando la gente mi definisce milanese mi dà fastidio, per il semplice fatto che non lo sono. E non per disprezzare Milano. Cagliari è nel cuore, e non posso dimenticarla.

    Il corpo — Milano
    Sono cresciuto qui. Ho cominciato a rappare quando andavo al Muretto che avevo 13 anni e ho iniziato a fare hip hop a 16 anni. Prima di andare a Quarto Oggiaro ho vissuto in una traversa di via Torino in una casa di ringhiera dove non c’era neanche il cesso. Il corpo me lo sono costruito a Milano con anni di lavoro, di fatica e di mazzate. Tutto quello che la vita ti può buttare davanti l’ho vissuto in questa grande città.

    L’anima - Giamaica
    L’anima l’ho trasferita a Kingston il primo giorno in cui ci ho messo piede. Potrei stare benissimo a Milano, ma se adesso ho deciso di rimanerci solo poche settimane all’anno è perché mi sta stretta. Kingston sarà un decimo della grandezza di Milano, ma qui c’è la mia famiglia, la mia piccola. La Giamaica mi ha insegnato tanto musicalmente e penso che Pelleossa sarà l’ultimo disco in cui c’è ancora del rap. Sento il bisogno di evolvere.
     
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